Terzo film della grandissima Bigelow, la regista di Strange Days e The Hurt Locker. Non è il massimo purtroppo, a parte la regia vibrante (l’incipit è un piccolo gioiello di tensione) e la prova perfetta di Jamie Lee Curtis, bellezza androgina e muscolare. Poliziotta dura (e innamoratissima, fin troppo) inserita in un contesto di soli uomini e nemmeno troppo intelligenti. La Bigelow già nel 1990 aveva le idee chiare: Hollywood è un mondo ancora prima che maschilista, maschio e basta. Non c’è spazio per le donne, men che meno per donne protagoniste, per donne d’azione. Così, Blue Steel, pecca senz’altro nelle incongruenze, nelle troppe inverosimiglianze, nel ritratto di un “cattivo” davvero tagliato con l’accetta. E pecca anche in troppi finali come a voler enfatizzare e prolungare una suspense che la regista riesce a ricreare solo a sprazzi. Peccato, perché l’ultimo finale (e l’unico che valga) è molto efficace: il volto di lei, vittoriosa e sconfitta, ferita e portata via a braccia. Ed è anche un’immagine perfetta del cinema muscolare, adrenalinico epperò anche straordinariamente femminile della Bigelow che ha sempre diretto (con un’unica, trascurabile eccezione: La forma dell’acqua), un film per maschi e con maschi problematici sullo schermo, salvati da eroine forti e deboli al tempo stesso. Determinate ma sempre terribilmente ferite, nell’orgoglio, nel corpo, nei desideri.
