Last Vegas

Soggetto dimenticabile che cerca di sfruttare il successo della formula di Una notte da leoni; sceneggiatura solo a tratti interessante, cast di super gigioni. È tutto qui Last Vegas, una (non sempre) gradevole scampagnata di arzilli nonnetti che giocano a non prendersi sul serio. Diretto da un buon intrattenitore come Jon Turteltaub (Il mistero dei templari; L’apprendista stregone), è ben confezionato e gioca tutto sul carisma dei quattro protagonisti: Robert De Niro, Morgan Freeman, Kevin Kline e Michael Douglas, gente che fino a qualche anno fa da sola avrebbe segnato con la propria presenza e in modo indelebile film più o meno riusciti e che adesso, complice l’età e – almeno nel caso di De Niro – scelte sventurate dal punto di vista cinematografico, si ritrovano fianco a fianco a prendersi in giro in modo un po’ goffo e a pronunciare battute terribili su viagra, emorroidi, sesso fuori tempo massimo. Si inizia male con un breve flashback a presentare i quattro da giovinetti e poi, con un salto lungo 58 anni, a riproporceli abbastanza in là con gli anni. Freeman è un nonno senza troppe motivazioni; Kline è in crisi (anche sessuale) con la moglie. De Niro è un vedovo scorbutico e chiuso. Quello messo meglio è Douglas, che con sprezzo del pericolo, mentre pronuncia l’omelia funebre di un collega morto, fa la sua bella proposta di matrimonio a una che potrebbe essere la figlia. Segue, per buona parte del film, lo schema di Una notte da leoni: i quattro che si ritrovano e, dopo qualche incertezza, decidono di festeggiare il futuro sposo a Las Vegas. Seguiranno momenti francamente imbarazzanti (come tutta la vicenda di Kline con un improbabile travestito), un paio di sequenze evitabili e volgari come quella in cui i quattro diventano giurati per un concorso di veline (e velone) e solo sul finale, dopo tanto divagare e altrettanta briglia sciolta lasciata ai quattro che gigioneggiano spesso dando l’impressione di lavorare su uno scarabocchio più che su una sceneggiatura, finalmente ecco arrivare un minimo di svolta interessante, quando cioè, dopo lo ‘sballo’ delle luci di Las Vegas, fa capolino la realtà vera, con i suoi problemi e i pugni che ti tira addosso. Così Turteltaub, pur lavorando su una sceneggiatura in diversi momenti assai banale firmata da Dan Fogelman, riesce a chiudere una vicenda che sarebbe stata molto più simpatica e curiosa se ci fosse stata meno volgarità e se non si fosse voluto calcare toni e personaggi. Chiude bene, confezionando una bella storia d’amore dai toni delicati tra Douglas e la Steenburgen e riuscendo finalmente a trovare il tono giusto, negli ultimi minuti, nel raccontare il legame che teneva e tiene uniti quei quattro amici, pieni di acciacchi, in fuga dalla vecchiaia e dalla morte e ritrovatisi dopo tanto tempo, non solo compagni di bevuta, ma amici. Amici che ti conoscono da sempre nei pregi e nei difetti e non ti mollano quando la realtà picchia duro, togliendoti la moglie o facendoti perdere la testa per la donna sbagliata. Una bella e positiva conclusione che fa aumentare la rabbia per almeno un’ora di film che gira terribilmente a vuoto.