I miserabili

Nel rispetto quasi totale delle tre unità aristoteliche di tempo, luogo, azione, I miserabili inizia con uno stile documentario che accompagnerà tutta la narrazione: si parte cioè con i festeggiamenti per la vittoria della Francia ai Mondiali di calcio 2018, una vittoria e un’euforia collettiva che, nelle intenzioni di Ladj Ly è pura illusione. 

Già perché, nemmeno troppo distanti dai monumentali Champs Élysées, avvengono gravi fatti. Da una parte un terzetto di poliziotti appartenenti alle famigerate BAC (la polizia in borghese che pattuglia le banieues parigine) dall’altro un mix di ragazzi perduti, condomini abbandonati simili a prigioni, zingari assetati di vendetta. Il tutto sotto gli occhi di un “sindaco” che più con le le cattive che le buone cerca di mantenere un ordine prima che l’odio sociale prenda il sopravvento. A prima vista, non ci sono personaggi positivi in un film che cita a mani basse un film come L’odio di Kassovitz che, a metà anni 90 poneva sotto i riflettori la realtà violenta e degradata della cintura parigina. E come nel film interpretato da Vincent Cassel, anche in questo I miserabili (il titolo da riferimento al quartiere dove si svolge la narrazione e al centro dell’opera di Hugo) non c’è una speranza forte, non ci sono orizzonti chiari come suggerisce un finale giustamente lasciato aperto. A metà tra l’indagine sociologica e il film di denuncia, I miserabili ha dalla sua una incredibile vetrina di facce giuste inserita in un racconto vibrante e nervoso, con almeno una sequenza da incorniciare su tutte, quella dell’assedio finale nel palazzo, immaginiamo complicatissimo da dirigere in spazi così angusti e stretti. È molto forte, molto penalizzato dal doppiaggio che fa perdere lo slang della periferia e, ovviamente, molto attuale. Davvero cupo: occhio al personaggio di Issa e alla sua (terribile) metamorfosi fisica. Una vera e propria maschera tragica che difficilmente potrà essere dimenticata.