Siberia

Ghiacciato. Magnetico. Onirico. Tre semplici aggettivi per provare a spiegare un film non facile, quest’ultimo Siberia del grande Abel Ferrara che qui a bottega abbiamo sempre apprezzato molto, sin dai primi film, quasi amatoriali e malsani. E malsano – ma in senso buono – è anche Siberia, splendida prova d’attore di Dafoe ma soprattutto quintessenza di un cinema ferrariano ancora capace di stupire, tra afflati religiosi e cadute verticali, nell’abisso. Siberia colpisce, ci colpisce nello stomaco e anche nella testa. Un film deforme, orrendo nella deformità/diversità, ripugnante, quasi pornografico eppure capace di stupire nel dialogo – religiosissimo e spirituale – tra il meditabondo protagonista e una specie di diavolo, mellifluo e intelligente. Gli si dirà: devi rinunciare alla tua ragione, come sintesi di un raziocinio incapace di guardare oltre. Ma Dafoe non comprende, come tutti del resto. Solo lo svelamento nel finale – intessuto di simboli religiosi, pesce in primis, rivelerà a tutti la profonda religiosità di un’opera che si staglia nella difforme e complessa filmografia del regista italoamericana. Un’opera capace di affermare il quid e il nunc con un linguaggio ostico certo, ermetico a tratti ma ricchissimo anche di riferimenti sostanziali al cinema che conta, da Eastwood che riecheggia nel nome del protagonista a certi capolavori di Coppola. Certamente un film forte e coraggioso che afferma e non glissa su nulla, forse il più complesso dei film di Ferrara almeno da Blackout. Però, che bellezza e che sguardo profondo su umanità, uomini e donne, povertà d’animo e sconfitte personali: il film è parecchio autobiografico. In parole povere: un film da non perdere!