Film molto intenso, uscito esattamente un anno dopo la prima proiezione alla Mostra del Cinema di Venezia. È un trionfo di vita, quest’ultima opera di Larrain, forse la sua opera più riuscita. Vita che si respira, intensa, nel grande ovulo che fa da sfondo alla coreografia di apertura (e anche nello splendido poster d’accompagnamento al film). Vita che brucia negli occhi della splendida protagonista dalla pelle e dai capelli di luna. Vita, messa a dura prova, nella fissità – voluta certamente, dell’interpretazione di un Bernal mai così efficace. Ci sono tante cose che convincono di Ema: la semplice ma efficace simbologia. Il fuoco e l’acqua. Il pompiere come ancora di salvezza. Quello che è più piaciuto, qua a bottega, è un’instancabile tensione alla Vita, alla ricerca del bambino perduto, alla ricerca spasmodica di un modo per lavare, espiare e riscattare le colpe. Molto più che negli ultimi fragili melodrammi almodovariani, Ema si configura come un’opera nuova dal punto di vista musicale e stilistico ma anche classica per l’ispirazione (Storia di un matrimonio è dietro parecchie inquadrature) e per una tematica esistenziale che recentemente abbiamo trovato solo in pochi registi, Malick in testa.
