C’è qualcosa di straordinario nel cinema di Susanna Nicchiarelli, qualcosa che nasce da lontano. Qualcosa che può lasciare spiazzati, ma in qualche modo riesce a portare lo spettatore in un mondo completamente fantastico e che a modo suo è molto originale. In fondo la Nicchiarelli riesce a restituire un’estetica che va ben oltre lo spot di moda, la fotografia patinata e l’attenzione maniacale al decor, scene e costumi. È qualcosa di magico e astratto al tempo stesso (e non astruso alla Tenet, tanto per intenderci). È qualcosa che attinge a una dimensione primigenia, verrebbe quasi da dire intima più che semplicemente e necessariamente intimista, perché lo spettacolo è al servizio e a favore del racconto del rapporto padre-figlia e soprattutto del racconto di una donna perdutamente sola. Il film, pare, ha la struttura di una seduta psicanalitica in ogni tappa è un’allontanarsi dal padre (o Padre) per andare sempre piu a fondo di sé stessi; e al termine di questo viaggio c’è il rapporto con il padre, il nucleo delle fragilità umane e ideologiche. Ma è anche un film sulla ricerca spasmodica di una Verità non semplicemente data, dogmatica ma di una verità, magari con la lettera minuscola, ma personale, unica e, in un certo senso, irripetibile. Imperdibile.