Ultimo film di Steve McQueen, prima della morte prematura per tumore. In realtà l’attore era già malato durante le riprese di un film diretto da un regista che poi avrebbe fatto più che altro televisione. Non è il massimo come uscita di scena del grande Steve dal cinema e dalla vita intera: McQueen interpreta un cacciatore di taglie dai metodi molto spicci, sempre in bilico tra una giustizia che vie da sé, di matrice bronsoniana, se ci passate il termine e una collaborazione con la giustizia legittima. Non è un granché il tono che prende l’intero film, tra l’umorismo e la violenza appunto, un po’ perché non è che nelle corde di McQueen ci sia poi ‘sta grande attitudine all’umorismo (e non basta rimarcare ogni tre scene che il protagonista non sia capace di guidare, cosa peraltro assolutamente autoironica), un po’ perché la sceneggiatura naviga tra luoghi comuni, anche se chiude bene, con una bel fermo immagine sul grande attore e una “sorpresa” che viene direttamente dalla sua amata macchina. Si avverte il tentativo di McQueen di dare una svolta al suo personaggio, rude e senza fronzoli di sempre, cercando forse una strada più personale e intima, ma il film è finito probabilmente nelle mani sbagliate.
