Basterebbe il finale, con una (rara) immagine di un Klaus Kinski finalmente in pace, rasserenato per capire che il film/documentario che Werner Herzog ha diretto su di lui, non è semplicemente la cronaca di una vita folle e dominata dall’irrazionalità come quella del grande, grandissimo attore tedesco, ma è una vera storia di un’amicizia violenta e misteriosamente creativa. Herzog racconta il “suo” Kinski e ci porta davanti a tutta la miseria umana e professionale dell’attore e al tempo stesso davanti a un enorme talento difficile da imbrigliare. Tanti i momenti memorabili che, qua a bottega, ci sono rimasti impressi, dalla lavorazione a dir poco epica e avventurosa di film come Aguirre e Fitzcarraldo, fino a un giudizio che personalmente ci ha colpito sulla Natura, da sempre protagonista assoluta della filmografia herzoghiana, l’immagine cioè di una foresta primitiva, selvaggia dove gli uccelli non cantano di gioia ma straziati dal dolore. Una rappresentazione della natura brutale e violenta che si accompagna alla violenza di un personaggio radicale come Kinski, dominato da un egocentrismo che lo rende spesso allucinato e nel rapporto con gli altri. Un gran film, perfetto per comprendere buona parte del cinema di Herzog e non soltanto i cinque film interpretati da Kinski. Per Antici che lo vide all’uscita, in un settembrino 1999, “Herzog mostra tutta la sua profonda umanità, intessendo un racconto di rara intelligenza e sensibilità su un arcicattivo”.
